Cosa vedere in Molise: Abbazia benedettina di San Vincenzo al Volturno
Le origini storiche del monastero di S. Vincenzo al Volturno si possono rintracciare del famoso Chronicon Vulturnense, un codice miniato redatto in scrittura beneventana intorno al 1130 dal monaco Giovanni. Questi, per la redazione del testo, aveva trovato materiale risalente al VIII secolo, al X ed anche all'XI.
Il monaco Giovanni scrisse la cronaca per riordinare le memorie dell'antico cenobio benedettino in un momento molto particolare, durante il quale il patrimonio monastico era minacciato dalla presenza dei Normanni. Ad oggi il Chronicon Vulturnense, conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana, costituisce una preziosissima riserva di informazioni per lo studio del monastero di San Vincenzo al Volturno.
Stando proprio al Chronicon, il monastero fu fondato da tre nobili beneventani, Paldo, Taso e Tato, i quali, desiderosi di condurre una vita austera e contemplativa, si erano recati all'Abbazia di Farfa (RI), dove l'abate Tommaso di Morienne aveva suggerito loro di fondare un cenobio lungo le rive del Volturno.
In realtà nello stesso posto già esisteva un oratorio dedicato a San Vincenzo, fondato dall'Imperatore Costantino. L'area su cui fu edificato il cenobio di San Vincenzo era stata precedentemente interessata da un insediamento romano, che fu caratterizzato dalla realizzazione di una chiesa affiancata da un'area funeraria.
Il monastero raggiunse la sua massima espansione durante il IX secolo: gli abati Giosuè, Talarico ed Epifanio trasformarono il cenobio in una vera e propria città monastica, intraprendendo allo stesso tempo importanti progetti di costruzione. Il monastero arrivò così ad ospitare circa 350 monaci, comprendendo ben dieci chiese e possedendo terre in gran parte dell'Italia centro-meridionale.
Nella seconda metà del IX secolo, invece, tre eventi segnarono negativamente le sorti e la relativa ascesa del monastero. Nell'848 un terremoto danneggiò gravemente alcuni edifici dell'abbazia. Nell'860 questa venne minacciata dall'emiro di Bari, Sawdan, che si fermò solo dopo la consegna di un tributo di 3000 monete d'oro.
Nell'881 un nuovo gruppo di Arabi, al servizio del duca-vescovo di Napoli Atanasio II, attaccò il complesso monastico saccheggiandolo e incendiandolo. Alla fine del saccheggio, alcuni monaci superstiti riuscirono a fuggire a Capua, altri vennero portati via prigionieri dagli assalitori.
Alcuni dei monaci rintanatisi a Capua tornarono alle rive del Volturno per tentare di ricostruire il cenobio. Tale ricostruzione si concretizzò alla fine del X secolo, sostenuta, anche politicamente ed economicamente, dagli imperatori tedeschi Ottone II e Ottone III.
Verso la fine dell'XI secolo i monaci, preoccupati dall'insorgere dei Normanni sulla scena politica meridionale, trasferirono la comunità cenobitica lungo la riva destra del Volturno, in una posizione più sicura e fortificabile. Da questo momento in avanti il prestigioso monastero si avviò inesorabilmente ad una parabola discendente.
I Normanni provocarono direttamente lo sfaldamento progressivo delle terre monastiche nel corso dei secoli XIII-XV. La comunità in questo periodo venne retta da un abate prevalentemente non residente e scese considerevolmente di numero. Nel 1699 il monastero passò sotto la giurisdizione dell'Abbazia di Montecassino. In tempi abbastanza recenti il monastero ha subito pesanti danni, conseguenti i bombardamenti della II Guerra Mondiale.
Una prima ricostruzione viene portata avanti dal monaco cassinese Angelo Pantoni, a seguito della quale il monastero torna a ospitare una comunità benedettina di suore provenienti dal monastero di Regina Laudis nel Connecticut (USA).
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