Vacanze in Molise: Il Castello Angioino di Civitacampomarano

Lo stemma della famiglia CarafaL'origine del nome di questo antico centro molisano è una questione abbastanza complessa: autori come il Galanti vedono in "Marano" l'antica "Maronea" dei Sanniti, anche se successivi studi hanno dimostrato le difficoltà di collocare storicamente tale insediamento sannita in quel preciso territorio.

Altri, come il Masciotta, ritengono invece che il nome "marano" derivi semplicemente dall'aggettivo dialettale "ombroso", o poco battuto dal sole. Si ritrova infatti nel 999 nei documenti di Ottone il nome di "Campimarani".

"Civitas", molto probabilmente, fu aggiunto in seguito all'afflusso e all'incremento demografico posteriore e conseguente allo spopolamento dei casali circostanti.

In origine il castello di Civitacampomarano era di forma quadrangolare, con quattro torri difensive ai rispettivi angoli. Successivamente, questo, grazie a diversi allargamenti e rifacimenti di chiaro stampo aragonese, si è contraddistinto per la sua funzione cosiddetta di castello di passaggio.

Nel 1400 furono aggiunte, su due diversi piani, due gallerie per la sistemazione delle armi da fuoco, così come le due torri che furono risistemate proprio per tale scopo. Le stesse torri hanno conservato la volta a cupola e una botola che comunicava con i sotterranei grazie a delle scale allungabili.

Nel successivo periodo rinascimentale, proprio in tali gallerie, è stata costruita la bella loggia con sei arcate.
Due date sono molto importanti per la ricostruzione storica e architettonica del castello: il 1795, anno in cui gli abitanti reclamarono dal feudatario il riempimento del fossato e la costruzione di una strada di collegamento tra le due zone del paese, Civita di Sopra e Civita di Sotto, divise proprio dagli spazi del castello; e il 1805, anno invece che segna il crollo di uno dei torrioni, non più ricostruito.

All'interno si trovano ancora la cisterna e il relativo sistema di raccolta delle acque piovane nonché gli spazi riservati al corpo di guardia e quelli per la servitù; tramite una rampa di scale si accede alle scuderie, al magazzino e al granaio. Dal cortile invece si può guardare una bella scalinata che conduce al piano nobile del castello.

Tra le varie famiglie che abitarono il complesso possiamo ricordare i Carafa, i Ferri e i Mirelli.
Oggi il castello è gestito dal Ministero per i Beni Culturali e dalla Soprintendenza ai Beni Architettonici del Molise.

Vicino al castello sorge la Chiesa di Santa Maria Maggiore che nel 1903, a causa dello sfaldamento di un costone tufaceo, crollò. Il suo fonte battesimale e la relativa porta di accesso, di notevole valore artistico, sono stati recuperati e riutilizzati nella chiesa di Santa Maria delle Grazie lungo la via V. Cuoco.

Di notevole valore è la pala settecentesca dell'altare, in legno intarsiato e oro zecchino, recante in alto una rarissima tela della Sacra Famiglia.
Il campanile a tre piani, che termina a punta con quattro facce, conserva una lapide lacunosa, di non facile interpretazione, dalla quale sembra tuttavia di poter dedurre che fu applicata nel 1620 in ricordo di un altare dedicato a San Giacomo e contenente le reliquie del santo.

In cima all'altissimo dirupo della "Cavatella" si trova invece la Chiesa di San Giorgio Martire. La facciata è di forma rettangolare, ma termina a triangolo nella parte alta, nella quale è fissato un bassorilievo in pietra raffigurante San Giorgio a cavallo. L'interno è a due navate, con soffitto a cassettoni e con un coro e un organo in legno ben conservati.

La chiesa, nella quale sono custodite le spoglie di San Donato Martire e una statua equestre di San Giorgio, possiede tre altari in pietra finemente lavorati e alcune lapidi funerarie della famiglia Pepe. Dal 2007 ha ripreso a ospitare lo stupendo organo settecentesco di scuola napoletana che dopo il restauro è tornato al suo antico splendore.